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Pascal: una vita di grande acume

Ultimo Aggiornamento: 21/02/2008 17:52
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08/02/2008 15:29

Pascal, a mio parere, è uno dei più grandi pensatori del suo tempo, considerando soprattutto che nel Seicento le più grandi dissertazioni filosofiche erano svolte intorno a due temi: il metodo procedurale della conoscenza, e quindi l'ambito della gnoseologia, e la riflessione matematizzante circa l'universo e i rapporti causa-effetto che lo caratterizzano. Pascal, a differenza sia di Cartesio (razionalista che secondo me sconfina in un forte deduzionismo aprioristico, condito da una buona dose di utilitarismo individualistico e opportunismo), il cui pensiero poi sfocerà successivamente nel cosiddetto "dogmatismo gnoseologico", sia del pensiero empirista, tipicamente inglese (Bacone e compagnia bella), presenta un pensiero filosofico totalmente diverso e pieno di spunti originali, ricco e mai scontato sotto nessun punto di vista.

Quello di cui oggi mi interessa discutere è il discorso relativo al "divertissement", una concezione che a mio parere si avvicina molto alla realtà dei fatti, poiché la gente comune, per rifuggire le più grandi tematiche esistenziali, cosa fa? Ma è scontato: cerca di non pensarci, facendo qualunque cosa che possa distogliere o "distrarre" (filosoficamente parlando) la mente. Certo, dice Pascal, è giusto che gli uomini abbiano un diversivo, qualcosa a cui appigliarsi, ma una cosa è distrarsi e una cosa è non affrontare mai il problema, aggirandolo continuamente, per poi arrivare alla fine dei propri giorni senza averci mai pensato. Tutto ciò secondo Pascal è estremamente sbagliato: l'uomo non deve fuggire dalla propria condizione, misera e indegna, ma deve saperla accettare comunque.

"Tu regere imperio populos Romane memento, parcere subiectis et debellare superbos." Virgilio, Eneide

"Credere a tutto e dubitare di tutto sono due soluzioni ugualmente efficaci che ci dispensano, l'una come l'altra, dal riflettere." Jules Henry Poincarè

"La mente è come un paracadute: funziona solo se si apre." Albert Einstein
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08/02/2008 15:45

Parole giuste!!
Il Divertissement è una delle attitudini più peculiari dell'umana condizione. Non vi è nulla di più semplice, di fronte ad un problema complesso, del non affrontarlo; nulla di più facile dell' ignorare una determinata cosa se questa ci tormenta con incalzanti quesiti senza apparente risposta e dolorosi dubbi , frutto di fallaci congetture e rispettive conclusioni. E così, lo stolto, decide che è più vantaggioso rimanere nella sua DOXA, beato e ignorante; E' invece prerogativa prima dell'amante della ricerca ( del Vero, s'intende) non abbandonare mai la lotta alle lacune della mente umana ma al contrario di intraprendere tutte le impervie vie della conoscenza sempre con rinnovato ardore. Poco importa se poi si fallisce ( quasi sempre): il solo tentativo ha già infatti portato l'amante del Vero un gradino sopra lo stolto. Con ciò non intendo dire tuttavia che è necessario ritirarsi asceticamente nella pura vita contemplativa, rifiutando ogni legame con la realtà. Infatti non si può comprendere una determinata cosa ignorando e nascondendo quest'ultima, ovvero non si può comprendere il Mondo estraniandosi da esso perchè, ovviamente, si giunge a conclusioni sbagliate. La Verità, dunque, viene sì da un rifiuto del Devertissement, ma anche da un approccio pratico col reale, non soo teoretico.
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08/02/2008 16:10

Eh già.....
Come sempre, il nostro amico Supiliuliumas ci offre dei lampi di genio davvero notevoli. Il discorso relativo al "divertissement", tuttavia, è un po' più complesso, a mio parere, di quel che potrebbe sembrare. Con questo intendo dire due cose: il fatto che gli uomini rifuggano la morte e i supremi interrogativi dell'esistenza, se da una parte, per Pascal, non è giustificabile (soprattutto considerando tutto il tempo che l'uomo ha a disposizione per pensarci, ossia l'intera sua vita), dall'altra parte però è comprensibile, poiché è umano avere paura di ciò che non si conosce, dell'ignoto, e cosa c'è di più ignoto della morte stessa? Niente, dice Pascal, in un famoso passo dei "Pensieri".

Pertanto, Pascal non condanna tanto la mancanza di volontà dell'uomo, che di per sé è una creatura debole e incapace di affrontare con serenità l'esistenza (come sa e afferma anche il filosofo), quanto piuttosto il fatto che l'uomo si dedichi a "distrazioni" sociali che, molto spesso, lo allontanano in maniera definitiva e irrevocabile dal problema, rompendo anche la minima parvenza di un "legame" con queste problematiche. In verità, quindi, Pascal ascrive la colpa di tutto questo alle amenità e ai divertimenti sociali e comunitari, più che all'uomo in quanto tale, poiché il filosofo sa bene che l'uomo è una creatura di poca volontà e forza interiore, e che quindi non è in grado, nella maggior parte dei casi, di superare le barriere concettuali e psicologiche impostegli dalla società in cui vive.

Poste queste premesse, si arriva alla conclusione: Pascal, nonostante faccia una differenziazione tra ciò che è comprensibile e ciò che è giustificabile, non vuole, in ultima analisi, comprendere l'uomo in senso assoluto. Egli, infatti, pur riuscendo a comprendere l'uomo e le sue paure più profonde, afferma che esso deve comunque avere la forza di agire, di ragionare e di riflettere su tali problemi, e non può assolutamente tirarsi indietro.

"Tu regere imperio populos Romane memento, parcere subiectis et debellare superbos." Virgilio, Eneide

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08/02/2008 16:26

Ben Detto Simplythebest!
LA CONDANNA NON è DELLA CIECITA' INTELLETTIVA, MA DEL PERSEVERARE IN ESSA ( senza dunque combattere l'accidia interiore che ci impedisce di intraprendre il cammino della ricerca).
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08/02/2008 16:50

Ben Detto Simplythebest!
LA CONDANNA NON è DELLA CIECITA' INTELLETTIVA, MA DEL PERSEVERARE IN ESSA ( senza dunque combattere l'accidia interiore che ci impedisce di intraprendre il cammino della ricerca).
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08/02/2008 17:00

Un'altra cosa di cui mi piacerebbe discorrere è la vita di Pascal. Secondo me, infatti, è davvero incredibile, e credo anche molto strano, che un uomo come Pascal, cresciuto tra i circoli culturali della Parigi secentesca, dove la matematica, la geometria e le scienze erano all'ordine del giorno, potesse maturare delle concezioni che in realtà nulla hanno a che fare con la matematica, ma che, al contrario, vanno ben oltre la pura e semplice concezione matematica dell'universo. Senza adesso aprire un dibattito sullo "spirito di geometria" e sullo "spirito di finezza", che rimanderemo a un'altra volta, e che sicuramente è ricco di spunti interessanti, voglio solo aggiungere un'altra cosa: il motivo per cui Pascal, pur essendo stato un brillante matematico e scienziato (risolse tutti i teoremi di geometria quando era ancora un ragazzo e inventò il primo modello di calcolatrice a 18 anni), è riuscito a maturare certe riflessioni, secondo me, è facilmente deducibile.

Se si pensa proprio a questo, infatti, e cioè che Pascal ha trascorso buona parte della sua vita a studiare le scienze, ci si rende conto che egli, avendo accumulato una conoscenza di queste cose davvero enorme, ed essendo quindi riuscito a cogliere l'aspetto puramente matematico e quantistico dell'universo e delle sue leggi, è riuscito anche a superare queste conoscenze, è riuscito a porsi un gradino più in alto proprio grazie a queste ultime. Se si analizza ancora più a fondo il problema, poi, quello che emerge è chiaro: Pascal, profondamente deluso da una visione, quella matematica e scientifica, estremamente sterile, spenta, priva di vita propria, di un'essenza, era giunto oltre, aveva teorizzato qualcosa di più profondo.

Ecco quindi il desiderio di avere due diverse visioni del mondo, l'una basata sulla scienza, sulla ragione, l'altra invece basata sullo spirito, sul cuore. Quelli che, secondo Pascal, sono i limiti della scienza e della ragione, infatti, non bastano, secondo me, a spiegare il vero motivo per cui egli abbia maturato tali concezioni. E' qui, secondo me, che si vede in tutta la sua grandezza l'originalità di Pascal: davvero un grande filosofo, l'unico, nel suo tempo, ad aver compreso che il meccanicismo causalistico non è, in verità, il solo modo per spiegare la complessità e la bellezza del Creato.

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21/02/2008 17:50

IL SINOLO VINCENTE FEDE E SCIENZA
[SM=g6935] PER NON DEMOLIRE DEL TUTTO LA POVERA SCIENZA, MI SENTO IN OBBLIGO DI DIRE CHE INDUBBIAMENTE UN ENORME MEZZO CONOSCITIVO UMANO. MA I SUOI LIMITI STANNO PROPRIO IN QUESTO " UMANO". CIO' CHE E' UMANO TANGE IL DIVINO CON MOLTA DIFFICOLTà, ED è PER QUESTO CHE LA SCIENZA, DA SOLA, NON BASTA. COSì COME IN PLATONE LA RAGIONE DEVE ESSERE ACCOMPAGNATA DAL MITO, COSI' ANCHE LA SCIENZA (CHE SUL PIANO D'APPLICAZIONE DEL MONDO UMANO SI PRESENTA COME UN LINGUAGGIO OGGETTIVAMENTE VERO) DEVE ESSERE ACCOMPAGNATA DAGLI ALTRI STRUMENTI A DISPOSIZIONE DELL'UOMO( CHE,SINTETIZZANDO, RACCHIUDO NEL TERMINE "FEDE"), POICHè QUELLE CHE PRIMA APPARIVANO COME INCONFUTABILI,SOLIDISSIME E INCONTRADDICIBILI VERITà DIVENGONO IMPROVVISAMENTE FUTILI E POSTICCE, PRIVE DI REALTà OGGETTIVA, DI FRONTE ALL'IMPONENTE LUCE DEL DIVINO. E' SEMPRE VANTAGGIOSO SCIEGLIERE LA MOLTEPLICITà DEI MEZZI. [SM=g6938]
[Modificato da supiliuliumas 21/02/2008 17:52]
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